Prestigiosa e particolare, la lunga storia del Teatro dell’Opera di Roma. Negli assetti proprietari, nel profilo istituzionale, nell’identikit architettonico. Per quasi mezzo secolo, nel periodo incluso tra la sua edificazione (1879) e quando sarà acquistato dall’allora governatorato della città (1926) porta il nome dell’imprenditore edile, un romano d’adozione, che l’ha voluto, tenacemente voluto e tirato su, mattone dopo mattone. Domenico Costanzi affidò all’architetto milanese Achille Sfondrini, uno specialista nella costruzione e nel restauro di teatri, il compito di dotare finalmente la capitale di una sede consona al suo rango e al prestigio universale della tradizione lirica italiana.
Il progetto messo a punto da Sfrondini privilegia il risultato acustico concependo la struttura come una cassa armonica: la sua forma a ferro di cavallo ne è una delle prove più evidenti. Poteva accogliere fino a 2212 spettatori, aveva tre ordini di palchi, un anfiteatro, una galleria. Il tutto sormontato dalla cupola di pregevole fattura affrescata dal perugino Annibale Brugnoli.
Terminato in tempi record, diciotto mesi, sull’area anticamente occupata dalla villa di Eliogabalo, il Teatro Costanzi è inaugurato il 27 novembre 1880 dall’opera Semiramide di Gioachino Rossini. Sul podio il maestro Giovanni Rossi, alla presenza del re Umberto I e della regina Margherita.
Costanzi ha investito nell’impresa l’intero patrimonio personale. Ma per il perentorio rifiuto di riscattare il Teatro venuto da parte dell’amministrazione comunale, è obbligato ad assumerne lui la gestione diretta. Sarà suo vanto aver battezzato, nonostante le gravi difficoltà finanziarie, «prime assolute» di opere poi diventate famosissime. Valga un titolo per tutti: Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni (17 maggio 1890).
C’è quindi un breve periodo con la direzione di Enrico Costanzi, il figlio del fondatore, cui andrà il merito di aver contribuito a un altro grande debutto: Tosca di Giacomo Puccini, il 14 gennaio 1900. Finché il Teatro non è acquistato nel 1907 dal poliedrico impresario Walter Mocchi per conto della Società teatrale internazionale e nazionale, una sua creatura, che gestiva alcuni tra i principali enti lirici italiani e ne esportava gli spettacoli e le compagnie nel Nord e nel Sud America, nella pausa estiva della stagione.
Nel 1912 Emma Carelli, celebre soprano e moglie di Mocchi, diviene direttrice e responsabile della «Impresa Costanzi», così chiamata dopo diverse trasformazioni di ordine societario. Nei quattordici anni della sua guida artistica moltissime le novità, per Roma e per l’Italia, presentate al Costanzi: come La fanciulla del West, Turandot e Trittico di Puccini; Parsifal di Richard Wagner; Francesca da Rimini di Renato Zandonai; Boris Godunov di Modest Mussorgskij; Sansone e Dalila di Camille Saint-Saëns e altre ancora; non ultima la Compagnia Les Ballets Russes di Serghej Diaghilev.
Il primo punto di svolta è nel ’26: il Comune di Roma, per volontà di Mussolini, decide finalmente di acquistare il Costanzi. La denominazione diventa Teatro Reale dell’Opera. All’architetto Marcello Piacentini è affidata la parziale ristrutturazione dell’edificio. In realtà, i cambiamenti da lui apportati rispetto a quello originario sono notevoli e sostanziali. L’ingresso, situato nella scomparsa via del Teatro (era dove ora si trova il giardino del contiguo Hotel Quirinale) è spostato sul lato diametralmente opposto. Si realizza così la piazza poi intitolata a Beniamino Gigli che accoglie ancor’oggi gli spettatori.
All’interno, l’anfiteatro è demolito e sostituito da un quarto ordine di palchi (l’attuale terzo ordine) e una balconata. Gli ambienti sono impreziositi e abbelliti con nuovi stucchi, decorazioni, tappezzerie. Spicca il maestoso lampadario del diametro di quasi sei metri, formato da ventisettemila gocce di cristallo, che domina e illumina la platea dal 27 febbraio 1928, giorno della seconda inaugurazione con l’opera Nerone di Arrigo Boito, diretta dal maestro Gino Marinuzzi. I lavori stavolta sono durati meno di sedici mesi. Ma non sarà ancora il look definitivo del Teatro. Trent’anni dopo si riaprirà il cantiere.
Con l’avvento della Repubblica era stata acquisita la denominazione di Teatro dell’Opera. Nel ‘58, in vista delle Olimpiadi del 1960, l’edificio subisce per volere dell’amministrazione capitolina una ristrutturazione e un ammodernamento ulteriori. Piacentini, cui è riaffidato il progetto, interviene radicalmente sulle architetture preesistenti consegnandoci l’odierna facciata con i relativi ingresso e foyer.
In oltre un secolo di vita, centoventotto anni per l’esattezza, l’Opera di Roma ha scritto tante pagine memorabili nella storia del teatro musicale, della lirica, della danza. È perciò impossibile anche solo elencare qui i compositori, i direttori, i cantanti, i danzatori, i registi, gli scenografi, i costumisti, i coreografi di fama che hanno calcato le sue tavole.
Nel tempo si sono succedute le voci più acclamate, da Enrico Caruso e Beniamino Gigli a Giacomo Lauri-Volpi e Fëdor Ivanovič Šaljapin, da Aureliano Pertile a Claudia Muzio, da Maria Caniglia a Maria Callas e Renata Tebaldi, da Montserrat Caballé a Marilyn Horne e Raina Kabaivanska, da Mario Del Monaco a Giuseppe Di Stefano, da Franco Corelli a Tito Gobbi, da Alfredo Kraus a Ruggero Raimondi, a José Carreras, Placido Domingo e Luciano Pavarotti.
Tra i direttori più illustri basterà ricordare il prestigio di Otto Klemperer, Arturo Toscanini, Victor De Sabata, Vittorio Gui, Tullio Serafin, Erich Kleiber, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, Georg Solti, Claudio Abbado, Georges Prêtre, Zubin Mehta, Lorin Maazel, Mstislav Rostropovich, Giuseppe Patanè, Giuseppe Sinopoli, Wolfgang Sawallisch, Nino Sanzogno, Gianluigi Gelmetti ed in tempi recentissimi Riccardo Muti.
I legni, i velluti, gli stucchi del Teatro dell’Opera di Roma hanno accolto e riprodotto le musiche di sommi compositori come Pietro Mascagni e Giacomo Puccini, Ildebrando Pizzetti e Ottorino Respighi, Goffredo Petrassi e Alfredo Casella, Gian Francesco Malipiero e Umberto Giordano e tanti altri. Così da identificarsi come culla per eccellenza dell’opera verista e del teatro musicale del Novecento.