Basilica di San Pietro

IL PROGETTO DI DONATO BRAMANTE
Dopo la basilica costantiniana, per la riedificazione della nuova basilica papa Giulio II scelse Donato Bramante il quale coltivava l’idea di sovrapporre il Pantheon al Tempio della Pace, come allora era chiamata la basilica di Massenzio; cioè fondere due tipi di tempio che già Leon Battista Alberti aveva indicati come esemplari: quello “etrusco”, rappresentato dalla basilica di Massenzio per una sua errata interpretazione di Vitruvio, e quello rotondo, quale era il Pantheon. La nuova basilica era stata inizialmente concepita come un grande quadrato sormontato da una cupola che, sostenuta da grandiosi pilastri, si doveva librare in alto, quasi sospesa nello spazio. Dalla stessa cupola si dipartivano quattro bracci di croce greca che terminavano, all’interno ad abside rotonda, e all’esterno in linea retta. Tuttavia, il progetto rimaneva poco definito e ipotizzava una dilatazione fino a dimensioni fuori misura che avrebbero presentato non poche difficoltà di realizzazione. I lavori furono interrotti dalla morte prematura di Bramante, avvenuta l’11 aprile 1514. Fino ad allora si era compiuta solo una drastica opera di demolizione innalzando, contemporaneamente, i giganteschi piloni e i quattro archi che avrebbero dovuto sostenere la cupola, e avviando la parte iniziale del braccio di croce meridionale. Prima di morire, Bramante stava lavorando ad una seconda ipotesi con sviluppo a croce latina, poi ripresa da Raffaello Sanzio quando, per volere di Leone X Medici, ricevette l’incarico di proseguire la costruzione insieme a Fra’ Giocondo da Verona, nominato il 1 novembre 1513 e il quasi settantenne Giuliano da Sangallo, nominato il 1 gennaio 1514. Ma anche questo progetto rimase sulla carta, poiché tutti e tre gli architetti morirono nel breve giro di sei anni. Nei fatti, fu costruita solo la base dell’immenso coro occidentale progettato a suo tempo da Bramante – in seguito abbattuto e modificato da Michelangelo con una soluzione più compatta e di dimensioni realizzabili – e l’inizio del deambulatorio sud.

LA FABBRICA DI ANTONIO DA SANGALLO IL GIOVANE
Leone X nominò allora architetto della fabrica Antonio da Sangallo il Giovane, assistente sin dal 1505 di Bramante, affiancandogli nel 1520 il senese Baldassarre Peruzzi. Per il veloce succedersi degli eventi che segnarono gli ultimi quindici anni della vita del papa, dopo l’austero pontificato di Adriano VI Florensz durato appena un anno e le incertezze politiche di Clemente VII Medici, è con Paolo III Farnese, eletto nel 1534, che si riaccende l’attenzione per il cantiere di San Pietro, ormai sospeso da anni. La nuova soluzione, ispirata all’arte gotica, rifletteva l’allontanamento dalla grandiosa pianta centrale di Bramante, di cui rispettava solo l’impianto a croce greca. L’edificio era prolungato in avanti con un grande portico, fiancheggiato da due campanili, ed in fondo si apriva una facciata che racchiudeva la loggia delle Benedizioni. Anche di questo ambizioso ma irrealizzabile progetto si realizzarono solo poche parti, limitatamente ad un ulteriore consolidamento dei piloni bramanteschi e all’innalzamento del pavimento della nuova basilica di m 3.20, così da conferire maggiore illuminazione e più armonico equilibrio ad un complesso altrimenti troppo alto e stretto. Si vennero quindi a creare le premesse per quegli spazi intermedi tra il vecchio pavimento della basilica costantiniana ed il nuovo che, durante il pontificato di Clemente VIII prima e Paolo V dopo, diventeranno il nucleo delle grotte Vaticane. Nel 1546 il Sangallo moriva e il 25 gennaio dell’anno successivo Paolo III, dopo un tentativo fallito di richiamare a Roma da Mantova Giulio Romano, morto in quello stesso anno, designò come successore Michelangelo.

LA CUPOLA DI MICHELANGELO
Trascorsi quarant’anni dall’inizio dei lavori, Michelangelo, libero di intervenire a suo piacimento, ricevette la nomina ufficiale. Michelangelo ritornava alla prima ispirazione di Bramante, ma con una concezione più vigorosa e semplificata. Egli plasmò quasi come una scultura la decorazione esterna dei tre bracci, dinamici nell’articolazione dei pilastri binati corinzi tra cui si aprono eleganti nicchie e finestre. La costruzione appare così vibrante, ma raccordata dallo sporgente cornicione che corre tutto intorno e su cui poggia un attico, sul quale le lesene si alternano a finestre di forme protobarocche. Su questo piedistallo s’innalza la cupola che più che appoggiata sembra adagiata sul tamburo. Nello stesso tempo il tamburo, con le colonne binate, e la cupola, con i costoloni e la lanterna, riprendono le linee di forza del corpo della basilica e le incardinano nello spazio. Michelangelo moriva nel 1564 e la costruzione della cupola era arrivata solo al tamburo. Il papa Pio IV Medici affidò la prosecuzione dei lavori a Jacopo Barozzi detto il Vignola, che ebbe tempo di iniziare solo la parte interna delle due cupole minori, finite da Giacomo Della Porta, e utili per sperimentare le possibilità costruttive ed accompagnare all’esterno la maggiore.

LA CUPOLA DI GIACOMO DELLA PORTA
Trascorsi poco più di venti anni dalla morte di Michelangelo, il 19 gennaio 1587 Giacomo della Porta, assistito da Domenico Fontana, ricette da papa Sisto V l’incarico di completare la cupola, riuscendo nell’impresa in meno di due anni. Dal 22 dicembre 1588 al 14 maggio 1590 l’anello superiore destinato a sostenere la lanterna era stato ultimato, ed anche se nei primi mesi del 1590 si avanzava con molta lentezza il 19 maggio, tra la gioia e i fuochi di artificio, Sisto V poteva inaugurare con la celebrazione di una messa solenne, la chiusura dell’occhio della lanterna. Nei mesi a venire i lavori ripresero a ritmo serrato, e grazie all’opera incessante di 800 operai che lavorarono anche di notte alla luce delle fiaccole, il 14 maggio 1590 il cantiere si poteva considerare chiuso; contrariamente al pronostico di dieci anni, erano trascorsi appena ventidue mesi. L’8 agosto, pochi giorni prima della morte del papa, erano state realizzate anche 36 colonne decorative. La conclusione della lanterna e la copertura del guscio esterno con lastre di piombo avvennero nel 1593, sotto Clemente VIII, e il 18 novembre dello stesso anno si appoggiò in cima alla cuspide del lanternino la grande sfera in bronzo dorato sormontata dalla croce, di Sebastiano Torrigiani.

IL COMPLETAMENTO DI CARLO MADERNO
Paolo V Borghese, eletto nel 1605, decise di affrontare la definitiva demolizione di quanto restava dell’antico tempio e accelerare il completamento del nuovo. Si rinunciò alla pianta a croce greca, sia perché il gusto dell’epoca suggeriva una diversa concezione degli spazi, sia per le non soddisfatte esigenze liturgiche dell’impianto michelangiolesco.
Il 7 marzo 1607 fu benedetta la prima pietra di ricostruzione, nel settembre dello stesso anno il papa approvò il modello di Carlo Maderno e a partire dall’ottobre successivo, in una complicata e controversa sequenza progettuale e costruttiva, in parte dovuta ai cambiamenti di opinione della committenza, ebbero inizio i lavori di demolizione. Scomparvero cappelle, altari, oratori, tra cui quello famoso di Giovanni VII con i preziosi mosaici dell’VIII secolo, il portico con gli antichi affreschi, l’atrio con le tombe papali e imperiali, la loggia delle Benedizioni e il campanile. I frammenti che non si conservarono in Vaticano furono donati a chiese esterne o ad importanti esponenti della curia, favorendone così la dispersione. Nel 1614 si compie l’immensa volta che copre l’interno della Navata, dello spessore di tre metri, nella quale vengono aperte le grandi finestre e nell’anno successivo si avvia la decorazione a stucco. Nel 1615, su progetto di Maderno, iniziano i lavori nell’area della Confessione e nello stesso anno viene demolito il muro divisorio fatto erigere da Paolo III. La domenica delle Palme, la basilica si presentò per la prima volta nella sua veste completamente rinnovata, in attesa dei futuri abbellimenti progettati in massima parte da Bernini.

Teatro Franco Parenti

Nel 1972 Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah, con Giovanni Testori e Dante Isella, fondano il Salone Pier Lombardo, che diventa immediatamente un punto di riferimento di vitalità artistica e culturale per Milano, caratterizzandosi per un’idea di teatro proiettata sia verso le novità italiane e straniere, sia verso la rilettura dei classici in chiave contemporanea e che comprende un’intensa e diversificata attività di manifestazioni culturali, concerti, rassegne cinematografiche, conferenze, festival, presentazioni di novità editoriali. Ben presto gli spettacoli del Pier Lombardo trovano circuitazione in tutta Italia, contribuendo a creare dei veri e propri ‘eventi’ di carattere nazionale.
Spettacoli come la Trilogia di Testori (Ambleto-Macbetto-Edipus), Il malato immaginario, Il misantropo di Molière, I promessi Sposi alla prova di Testori, interpretati da Franco Parenti e tutti con la regia di Andrée Ruth Shammah, fanno ormai parte della storia del teatro italiano.
Altri spettacoli come La doppia incostanza di Marivaux; Il maggiore Barbara di Shaw, La palla al piede di Feydeau, Il bosco di notte di Sansone, Timone d’Atene di Shakespeare, si sono imposti anche per una concezione dello spazio scenico, proiettato verso una forma di ‘teatro aperto’, che ha caratterizzato le scelte di Andrée Ruth Shammah.
Nel 1989, con la scomparsa di Franco Parenti, Andrée Ruth Shammah assume interamente la direzione del teatro che, in onore del grande attore, prende il nome di Teatro Franco Parenti.

Galeone Veneziano

Jolly Roger offre una location di grande suggestione per cene private (anche a lume di candela), matrimoni, feste a tema, eventi e meeting aziendali. Una minuziosa attenzione è dedicata alla realizzazione di ogni evento, dalla cucina alla cura dei dettagli negli allestimenti dei buffet e delle cene con servizio al tavolo, alle personalizzazioni dell’evento (scenografie addobbi floreali ecc..) fino alle proposte di intrattenimento per spettacoli teatrali e musicali, creando un trait d’union tra le aspettative e le esigenze del cliente nella realizzazione di un evento unico e personalizzato. Jolly Roger dispone di un servizio catering, cambusa, bar e ristorante; i galeoni sono dotati dell’attrezzatura tecnica necessaria per supportare ogni tipo di evento business. Durante l’estate una copertura tensiostatica protegge da eventuali piogge mentre nel periodo invernale vetrate panoramiche, copertura coibentata e sistema di riscaldamento garantiscono una temperatura interna di ca. 23 gradi.

Teatro San Domenico

L’origine della fondazione in Crema di un convento dei Domenicani viene fatta risalire all’anno 1332 (F. Sforza Benvenuti – G. Racchetti), anno in cui fu donata a tale Padre Venturino da Bergamo, dell’ ordine dei predicatori, “una chiesoletta di San Pietro Martire” (G. Racchetti: op. cit. pag. 97) e, da parte della nobile famiglia De’Mandoli, alcune case ad essa contigue. Parrebbe potersi datare la detta chiesuola intorno all’anno 1300, come farebbe supporre lo Sforza Benvenuti. Questa, che nella ritrascrizione del Racchetti, a pag.198 viene indicata come “cappella”, viene unanimemente “situata ove fu indi eretto l’altar maggiore della chiesa di S.Domenico” (F.Sforza Benvenuti, op. cit. pag. 772). Leggendo i vari autori ci appare come ipotesi piu probabile che la chiesa di S. Pietro Martire sia stata poi abbattuta all’atto della erezione dell’attuale complesso e non, come dice il Verga, conglobata con funzione di abside nell’attuale chiesa. Cio potrebbe essere suffragato da una attenta lettura del passo tratto dal Racchetti: “… chiesa… nella quale fu rinchiuso lo spazio in cui tutta consisteva l’antica, nel solo presbiterio e coro”. (op.cit. pag.198 e seg.) in cui l’autore parla solo dell’area della chiesa e non dell’edificio. Ma ancora piu valida ci pare l’osservazione che una chiesa delle dimensioni dell’attuale presbiterio non avrebbe potuto avere un tale sviluppo verticale e, se per qualsiasi ragione ignota questo si fosse verificato, l’autore piu sopra citato non avrebbe potuto parlare di “chiesoletta” e “cappella”. All’attuale chiesa rimane comunque la dedicazione e noi troviamo ancora nei documenti della Repubblica Cisalpina, riguardanti la soppressione del convento, la denominazione di “Convento di S. Pietro Martire”, anche se la tradizione piu recente attribuisce al complesso il sintetico nome di “S Domenico”.

Proseguendo l’esame delle vicende storiche del soggetto della nostra ricerca ci imbattiamo in un improvviso e non datato passaggio di “proprieta”. Causa alcune pestilenze, infatti, il convento rimase spopolato e “frati conventuali, non si sa ne quando ne come, se ne impadronirono” (G. Racchetti, op. cit. pag. 198 e seg.). I Cremaschi, gia nel 1455 ricorsero al Podesta perche i Domenicani rientrassero in possesso di quanto la citta aveva loro donato, ma per varie cause la pratica non fu breve e si dovette ricorrere anche al Pontefice. Sta di fatto che il 22 luglio del 1457, vuoi con uno scaltro colpo di mano secondo il Racchetti, vuoi perche i conventuali si convinsero del loro torto secondo L. Benvenuti, i Domenicani tornarono in possesso del loro.

A questo punto non ritroviamo notizie del nostro convento sino al 1614 quando tanto il Barbieri che la trascrizione del Racchetti ci informano essersi insediato in questo il tribunale della Santa Inquisizione che secondo il Cesare Tintori (abate autore delle Memorie Cremasche e citato dal Racchetti) soleva,nel giorno di Santa Croce, “abbruciare sulla piazza, dinanzi alla porta maggiore della chiesa, i libri proibiti entro alcune botti.” (Racchetti, op. cit. pag.198 e seg.), uso che si mantenne sino al XVIII secolo. Ci e dato sperare, per la mancanza di citazioni sui testi consultati, che questa usanza non sia stata estesa, in quel di Crema, anche ai cristiani. Il fatto che nell’Archivio di Stato di Milano si trovino vari documenti riguardanti il convento, anche di non grande rilievo, tutti posteriori alla meta del ‘700 ma vi sia la piu assoluta mancanza di manoscritti precedenti, lascia supporre che, qui come altrove il grosso dell’ archivio del monastero sia stato trafugato prima della confisca napoleonica (di cui tratteremo poco oltre) con l’intento di essere portato in luoghi piu sicuri, forse alla casa generale dell’ordine in Roma.

Con la venuta delle truppe napoleoniche e la nascita della Repubblica Cisalpina, anche al convento di S. Pietro Martire tocco la sorte, come accennavamo, di essere confiscato. Cio accadde il 22 giugno del 1798 o, come si diceva allora, li 4 messidoro anno VI Repubbl; ce ne rende testimonianza l’ “Instrumento di soppressione del convento di S. Pietro Martire de’ Domenicani di Crema rogato dal notaio di Lodi Giuseppe Crondolani” e attualmente conservato nell’Archivio di Stato di Milano; la stima dei beni venne invece effettuata il 4 mietitore dello stesso anno e ci tornera utile piu avanti, quando parleremo della chiesa.

Dopo la confisca troviamo tracce delle aste con le quali furono venduti i beni ed i terreni del convento. Notizie riguardanti il convento vero e proprio sono invece riportate dal Perolini nella sua recente pubblicazione. Dapprima, citando il Massari, ci viene comunicato che il convento venne adibito a caserma e l’attigua ,chiesa magazzino militare. Nel 1836, poi, viene aperta nel convento una casa di isolamento per i colerosi (Alm. Crem. 1837, pag. 175; Racchetti, Storia del colera fu Crema, parte III^, m. s. 106). Sempre il Perolini ci da notizia che nel 1852 l’ex-chiesa e adibita a cavallerizza militare. Il convento viene, nel 1875, adattato per ospitare le scuole elementari maschili (Arch. Com.- cl. IX^ -Gestione del patrimonio). Il Demanio cede poi, nel 1899, il “fabbricato denominato cavallerizza ex-chiesa di S. Domenico” al Comune di Crema “il quale, in cambio, vi costruisce a proprie spese una nuova cavallerizza. (Arch. Com. -ibidem -)… Le opere murarie furono appaltate… ad un capomastro di Milano, Alfredo Ricevuti, che inizio i lavori nel novembre 1898 (Il Paese, 19/XI/1898)” (M. Perolini, op. cit.pag. 340).

Quando l’ex Chiesa di San Domenico diventa di proprieta comunale si comincia a mettere in discussione la possibilita di collocarvi un mercato delle verdure e dei generi alimentari. L’Ufficio Tecnico Comunale elabora il progetto di riutilizzazione dell’edificio che viene approvato il 28 luglio del 1901 dal Consiglio Comunale. Nella relazione allegata si sostiene che l’attuale Cavallerizza “senza muover pietra della sua ossatura, servira mirabilmente per la nuova destinazione quando venga soltanto con le nuova aperture meglio rischiarata”.

Nel 1902 si eseguono nei locali del Convento lavori di ampliamento degli spazi occupati dall’asilo infantile Principe Umberto, che viene ad occupare al piano terreno tutto il secondo chiostro e i locali ad est del primo chiostro. Nel 1904 l’intervento elaborato dall’ Ingegnere Capo Berneri, dell’ Ufficio Tecnico Comunale, alla ex Cavallerizza e terminato, ma l’edificio resta chiuso. Dalla stampa dell’epoca si apprende che il Mercato viene inaugurato il 21 dicembre dello stesso anno. Dal 1910 al 1912 alcuni vani del piano superiore del primo chistro a sinistra del grande scalone ospitano gli uffici della Camera del Lavoro. Quando termina il contratto di affitto con questo Ente, da parte dell’ Ufficio Tecnico Comunale si progetta l’adattamento dei locali rimasti liberi per collocarvi le scuole elementari. In questi stessi anni in alcuni locali del chiostro hanno sede gli Enti Musicali cittadini: la direzione del corpo musicale, la scuola di canto corale e la Societa di Santa Cecilia.

Nel 1912, citando la “Guida di Crema e del Circondario” di quell’anno, il Perolini rileva che il convento diviene sede delle varie associazioni musicali cittadine e la chiesa e ridotta a mercato di ortaggi, sistemazione che durera solo tre anni. Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, il tutto e adibito ad ospedale militare.

Nel 1920 la chiesa ridiventa un mercato, questa volta piu completo: tutti i generi alimentari. Il convento, anche se non e qui dichiarato, dovrebbe essere definitivamente attrezzato a struttura scolastica.

Il 12 febbraio del 1944 (Il Paese) si inaugura con “La Traviata” di G. Verdi il Cinema Teatro Nuovo, nell’aula che subisce nuove trasformazioni: nell’abside si ricavano tre piani: il terreno, il primo e un sottotetto adibiti ad abitazione del custode gli ultimi due e a locali di servizio il terreno, si sistema una galleria all’altezza della copertura delle cappelle laterali e si addossa alla facciata una bussola in muratura per la vendita dei biglietti.

Nel 1952 viene posto dalla Soprintendenza ai Monumenti di Verona il vincolo sulla Chiesa di San Domenico ai sensi della Legge 1089 del 1 giugno 1939

Il Convento attrezzato a struttura scolastica diventa nel 1964 sede dell’Istituto Professionale per il Commercio che vi rimane fino al 1992. Ai primi di marzo del 1970 la Chiesa viene trasformata in palestra didattica funzionante dal 1972.

Il 26 aprile 1994 l’Ing. Guglielmo Moscato, Presidente dell’ Agip s.p.a., ha consegnato simbolicamente alla citta di Crema, nelle mani del Sindaco, Cesare Giovinetti, l’ex Chiesa di S. Domenico riportata all’antico splendore. L’intervento dell’ Agip nel restauro del monumento riflette l’attenzione che la Societa dedica ai problemi ed alla vita del territorio nel quale opera e del quale, nel.valorizzarne le risorse energetiche, non manca di apprezzare il patrimonio storico, artistico, culturale ed ambientale.

Il giorno 27 novembre 1999, alle ore 17,30, la citta di Crema ha inaugurato il suo nuovo Teatro. E durato oltre sessant’anni il desiderio di veder ricostruita una nuova sala: ora finalmente la citta si e dotata di un teatro, il quinto di una lunga serie. Collocato nel cuore del centro storico, entro un complesso architettonico e storico culturale di grande significato, il Teatro non manchera di suscitare, alimentare ed accrescere la grande sensibilita musicale, vocale, rappresentativa di questa nostra citta e di tutto il suo territorio.

Casina delle Civette

La Casina delle Civette, dimora del principe Giovanni Torlonia jr. fino al 1938, anno della sua morte, è il risultato di una serie di trasformazioni e aggiunte apportate alla ottocentesca Capanna Svizzera che, collocata ai bordi del parco e nascosta da una collinetta artificiale, costituiva in origine un luogo di evasione rispetto all’ufficialità della residenza principale. Ideata nel 1840 da Giuseppe Jappelli su commissione del principe Alessandro Torlonia, si presentava come un manufatto rustico con paramenti esterni a bugne di tufo ed interno dipinto a tempera ad imitazione di rocce e tavolati di legno. I due edifici di cui consta oggi il complesso architettonico, il villino principale e la dipendenza, collegati tra loro da una piccola galleria in legno e da un passaggio sotterraneo, nulla o quasi hanno a che fare con il romantico rifugio di sapore alpestre ideato nell’Ottocento dallo Jappelli, se non per le strutture murarie dei due corpi di fabbrica principali disposti ad “L”, per l’impronta volutamente rustica, per l’uso dei diversi materiali costruttivi lasciati a vista e per la copertura a falde inclinate.
Infatti, già dal 1908, la Capanna Svizzera cominciò a subire una progressiva e radicale trasformazione per volere del nipote di Alessandro, Giovanni Torlonia jr., assumendo l’aspetto e la denominazione di “Villaggio Medioevale”; i lavori furono diretti dall’architetto Enrico Gennari e il piccolo edificio divenne una raffinata residenza con grandi finestre, loggette, porticati, torrette, con decorazioni a maioliche e vetrate colorate.
Dal 1916 l’edificio cominciò ad essere denominato “Villino delle Civette” per la presenza della vetrata con due civette stilizzate tra tralci d’edera, eseguita da Duilio Cambellotti già nel 1914, e per il ricorrere quasi ossessivo del tema della civetta nelle decorazioni e nel mobilio, voluto dal principe Giovanni, uomo scontroso e amante dei simboli esoterici.
Nel 1917 l’architetto Vincenzo Fasolo aggiunse le strutture del fronte meridionale della Casina, elaborando un fantasioso apparato decorativo in stile Liberty.
L’impronta di Fasolo è riscontrabile nella scelta dei volumi che si aggregano e che si intersecano prendendo corpo in una grande varietà di materiali e particolari decorativi. Elemento unificante delle molteplici soluzioni architettoniche è la tonalità grigia del manto di finitura delle coperture, per il quale venne utilizzato la lavagna in lastre sottili, variamente sagomate, contrapposta alla vivace cromia delle tegole in cotto smaltato.
Gli spazi interni, disposti su due livelli, sono tutti particolarmente curati nelle opere di finitura; decorazioni pittoriche, stucchi, mosaici, maioliche policrome, legni intarsiati, ferri battuti, stoffe parietali, sculture in marmo mostrano la particolare attenzione del principe per il comfort abitativo.
Tra le tante decorazioni la presenza delle vetrate è così prevalente da costituire la cifra distintiva dell’edificio: le vetrate vengono tutte installate tra il 1908 e il 1930 e costituiscono un “unicum” nel panorama artistico internazionale, prodotte tutte dal laboratorio di Cesare Picchiarini su disegni di Duilio Cambellotti, UmbertoBottazzi, Vittorio Grassi e Paolo Paschetto.
La distruzione dell’edificio iniziò nel 1944, con l’occupazione delle truppe anglo-americane, durata oltre tre anni.
Quando nel 1978 il Comune di Roma acquisì la Villa, sia gli edifici sia il parco erano in condizioni disastrose.
L’incendio del 1991 ha aggravato le condizioni di degrado della Casina, unitamente a furti e vandalismi. L’immagine odierna della Casina delle Civette è il risultato di un lungo, paziente e meticoloso lavoro di restauro, eseguito dal 1992 al 1997, che, con quanto ancora conservato e sulla base delle numerose fonti documentarie, ha permesso la restituzione alla città di uno dei più singolari e interessanti manufatti dei primi anni del secolo scorso.

Teatro Nazionale

Il nuovo tempio del musical
Fondato negli anni ’20 da Mauro Rota, è uno dei più importanti teatri milanesi e parte integrante del tessuto culturale dell’area metropolitana. È stato scelto da Stage Entertainment come casa ideale dei propri musical. La recente profonda ristrutturazione ha trasformato il Nazionale nel più moderno teatro d’Italia.
La torre scenica è stata ampliata, i posti a sedere sono diventati 1.500, l’acustica sarà d’eccellenza e le grandi firme del design italiano stanno vestendo il teatro, rendendolo a tutti gli effetti uno dei teatri più belli d’Italia, uno spettacolo di per sè.

Villa Torlonia

Villa Torlonia, la più recente delle ville nobiliari romane, conserva ancora un particolare fascino dovuto all’originalità del giardino paesistico all’inglese, uno dei pochi esempi a Roma, e alla ricca, e inaspettata quantità di edifici ed arredi artistici disseminati nel parco.

Le vicende storiche
Giovanni Torlonia, ottenuto il titolo di marchese nel 1797, acquistò nello stesso anno, per sancire la conquista del nuovo status, la Villa Colonna (già Pamphilj) sulla Nomentana. Giuseppe Valadier venne incaricato di sistemare la tenuta in modo da renderla all’altezza delle altre Ville principesche di Roma.
Tra il 1802 e il 1806 Valadier convertì l’edificio padronale in un elegante Palazzo, trasformò il piccolo casino Abbati in una palazzina assai più graziosa (l’attuale Casino dei Principi), edificò le Scuderie e un maestoso ingresso (demolito con l’ampliamento della Nomentana). Valadier si occupò anche della sistemazione del parco realizzando viali simmetrici, tra loro perpendicolari alla cui intersezione, in posizione centrale era posto il palazzo, con il prospetto settentrionale in asse con uno degli ingressi della villa sulla Nomentana. Numerose opere di arte classica, in gran parte scultoree, vennero acquistate per arredare la Villa.
Alla morte di Giovanni, il figlio Alessandro incaricò, nel 1832, Giovan Battista Caretti, architetto e pittore, di arricchire e ampliare la tenuta..
Oltre ad ampliare i vecchi edifici, assecondando il gusto eclettico del Principe, Caretti edificò anche alcune strutture a decorazione del parco: i Falsi Ruderi, il Tempio di Saturno, la Tribuna con Fontana, un Anfiteatro, il Caffe- house, la Cappella di S. Alessandro (quest’ultimi tre non più esistenti).
Per progettare ed eseguire i successivi lavori all’interno della Villa, Alessandro si rivolse ad altri due architetti: Quintiliano Raimondi, per il Teatro e l’Aranciera (oggi più comunemente chiamata “Limonaia”) e Giuseppe Jappelli, al quale venne affidata la sistemazione di tutta la parte sud della Villa. Quest’area fu completamente trasformata con viali serpentinati, laghetti e piante esotiche e disseminata di edifici ed arredi di gusto fantastico: la Capanna Svizzera (poi trasformata in Casina delle Civette), la Serra, la Torre e la Grotta Moresca, il Campo da Tornei.
Il grandioso programma autocelebrativo culminò nel 1842 con l’erezione di due Obelischi in granito rosa, dedicati alla memoria dei genitori Giovanni e Anna Maria Torlonia.
Nonostante le premesse, Villa Torlonia non fu che in pochissimi casi quel ritrovo mondano e fastoso per l’alta nobiltà romana e straniera che Alessandro avrebbe voluto.
Il nuovo erede Torlonia, Giovanni, interessato al rilancio del nome di famiglia, fece realizzare il Villino Medievale, un nuovo muro di cinta, il Villino Rosso, il Villino di guardiania all’ingresso di Via Spallanzani e trasformò radicalmente la Capanna Svizzera che prese l’attuale forma di Casina delle Civette.
I nuovi edifici furono per lo più destinati ad abitazione.
Nel 1919 fu scoperto un grande cimitero ebraico sotterraneo, nell’area nord–ovest della Villa.
Nel 1925 la Villa venne concessa come residenza a Mussolini fino al 1943.
La presenza di Mussolini non comportò sostanziali modifiche; il Duce alloggiava nel Palazzo, utilizzando il Villino Medievale e la Limonia per la proiezione di filmati, feste e incontri culturali e il Campo da Tornei come campo da tennis. Anche il Parco non subì particolari interventi, tranne gli orti di guerra voluti dalla moglie del Duce. Nel giugno del 1944 tutto il complesso fu occupato dalle truppe del comando anglo – americano che vi rimase fino al 1947.
Nel 1977 la Villa fu acquistata dal Comune di Roma e dal 1978 è aperta al pubblico. Dagli anni ’90 il Comune ha avviato una serie di consistenti interventi di restauro sia del parco che degli edifici: prima la Casina delle Civette, poi il Casino dei Principi, la parte meridionale del parco, il Villino Rosso fino al recente restauro della Limonaia, del Villino Medievale, del Casino Nobile, delle Scuderie Vecchie e della parte settentrionale del parco. Con l’ormai prossimo restauro del Teatro e della Serra Moresca, Villa Torlonia tornerà ai suoi antichi splendori.

Teatro Ciak Webank

Il Teatro Ciak Webank.it, unico nel suo genere, ritrova la propria peculiarità nelle sue origini.
È il 1977 quando Leo Wächter, geniale impresario del mondo dello spettacolo, decide di creare un teatro che possa offrire al pubblico un cartellone vario, seguendo un’intuizione e un desiderio cullato per anni.
E’ così che tra i muri dell’ex cinema Dea, in quella che era allora la periferia di Milano, nasce il Teatro Ciak. La sala si rinnova con l’originale scelta della proiezione di due film, intervallati da uno show comico di un’ora. La formula incontra il favore di un pubblico entusiasta.
Negli anni a seguire il palcoscenico del Ciak incentiva l’alternarsi fra le proprie mura di cinema, musica, teatro, mimo, cabaret. Ospita il passaggio di personaggi famosi e, per altri, si trasforma in un vero e proprio trampolino di lancio.
Dal 1990 al 1996 la figlia di Leo Wächter, Susanna, affianca il padre per poi sostituirlo nella direzione artistica del teatro, mantenendo quella voglia di rischiare che induce a scegliere spettacoli anticonformisti e fuori dagli schemi tradizionali.
Questo fortunato e geniale periodo viene purtroppo interrotto da un grave incidente stradale che strappa Susanna alla sua passione verso il teatro.
La stagione teatrale 1996-1997 vede come direttrice artistica Patrizia Wächter, sorella di Leo, che in accordo con la famiglia, dopo un anno, decide di passare il testimone a Maurizio Costanzo.
Dal 1999 la direzione artistica è invece affidata a Gianmario Longoni, all’epoca responsabile anche dei teatri Nazionale e Smeraldo di Milano.
Nel 2004 è Paolo Scotti a firmare la stagione artistica dello storico teatro milanese, mentre Gianmario Longoni viene chiamato a ricoprire la carica di presidente del Gruppo Officine Smeraldo, holding teatrale che, oltre al Teatro Ciak, gestisce anche il Teatro Smeraldo di Milano, il Teatro Sistina di Roma, il Teatro delle Celebrazioni di Bologna e il Creberg Teatro di Bergamo.
Il Ciak ha sempre avuto il coraggio di dare spazio a generi diversi (dalla musica al cabaret, dal mimo al musical) ed è diventato negli anni un punto di riferimento per gli addetti ai lavori e per il grande pubblico.
Molti artisti hanno calcato le sue assi: personaggi di grande successo e altri che la loro fama l’hanno costruita partendo proprio da questo palcoscenico, una lunga serie di ospiti che hanno disegnato, giorno dopo giorno, anno dopo anno, la fisionomia di un teatro storico.
Eccone solo alcuni: Enzo Jannacci, Paolo Conte, Gino Paoli, Vinicio Capossela, Aldo Fabrizi, Franca Valeri, Walter Chiari, Carlo Dapporto, Lella Costa, Dario Fo, Franca Rame, Beppe Grillo, Tullio Solenghi, Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Teo Teocoli, Zuzzurro & Gaspare, Paolo Rossi, Alessandro Bergonzoni, Victoria Chaplin – Thierrèe, Jango Edwards, Claudio Bisio, Gioele Dix, Paolo Hendel, David Riondino, Sabina e Corrado Guzzanti, Daniele Luttazzi, Gene Gnocchi, Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo, Angela Finocchiaro, Giorgio Panariello, Fabio Fazio.
Nella stagione 2007/2008 il palcoscenico del Ciak ha lasciato la storica sede di via Sangallo per trasferirsi nell’eclettico spazio della Fabbrica del Vapore di via Procaccini.
Una nuova collocazione, in attesa di quella definitiva che garantirà almeno altri 30 anni di storia.

Venezia

La città di Venezia è stata per più di un millennio capitale della Repubblica di Venezia e conosciuta a questo riguardo come “la Serenissima”, la Dominante e “la Regina dell’Adriatico”. Questi appellativi erano opposti a “la Superba” o “la Dominante dei Mari”, riferiti alla repubblica marinara di Genova, principale concorrente e avversaria di Venezia.
Per le peculiarità urbanistiche e per il suo patrimonio artistico, Venezia è universalmente considerata una tra le più belle città del mondo ed è annoverata, assieme alla sua laguna, tra i patrimoni dell’umanità tutelati dall’UNESCO: questo fattore ha contribuito a farne la seconda città italiana dopo Roma con il più alto flusso turistico, in gran parte dall’estero.
Il territorio comunale si estende su buona parte della laguna di Venezia ma anche sulla terraferma circostante, comprendendo la vasta area metropolitana che ha per centro Mestre.
Venezia sorge sul livello del mare, in mezzo alla laguna omonima su un totale di 118 isolette consolidate grazie a palafitte e ad una copertura lapidea che ne ha permesso l’urbanizzazione. Alcune di queste isole sono raccolte in gruppi organici tra di loro mentre altre risultano invece più disperse.
La parte storica della città, posta al centro dell’omonima laguna, viene tradizionalmente suddivisa in sei sestieri: Dorsoduro, Santa Croce, San Polo, San Marco, Cannaregio e Castello. I sestieri della città antica si articolano intorno alla doppia ansa del Canal Grande, la via d’acqua principale da cui si snoda una fitta rete di circa 150 canali minori.
Tra le isole maggiori che contornano il nucleo storico e che fanno parte anch’esse del comune, si ricordano Murano, Burano celebri rispettivamente per la lavorazione del vetro e dei merletti, Torcello e la lunga e sottile isola del Lido con i suoi stabilimenti balneari.
Il cuore della città di Venezia è Piazza San Marco, l’unica nel centro storico ad essere caratterizzata dal toponimo “piazza”: le altre piazze sono chiamate infatti “campi” o “campielli”. La Basilica di San Marco è situata al centro della piazza, colorata d’oro e rivestita da mosaici che raccontano la storia di Venezia, assieme ai bassorilievi che raffigurano i mesi dell’anno. Sopra la porta principale, i quattro cavalli bronzei di Costantinopoli che furono trasportati a Venezia in seguito alla quarta Crociata del 1204. La pianta a croce greca è sovrastata da cinque grandi cupole. La fabbrica attuale è la terza Basilica dedicata a San Marco che sorge in questo luogo: le prime due andarono distrutte. Pare che questa versione sia stata ispirata dalla chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli. L’interno è rivestito di mosaici a fondo oro che raffigurano passi biblici e allegorici. Inizialmente, era la cappella dei Dogi della Repubblica di Venezia.
Il Palazzo Ducale sorge a fianco della Basilica: a unirli, la Porta della Carta, opera di Bartolomeo Bon, che oggi è l’uscita del museo di Palazzo Ducale. L’ingresso principale è sul lato che guarda alla laguna. Sede del governo della Serenissima, è stato costruito nel XV secolo con marmi d’Istria. Qui sorgeva un castello, poi dato alle fiamme per far uscire Pietro IV Candiano che vi aveva trovato rifugio durante una sommossa. Ora il Palazzo è un museo, con opere dei migliori artisti veneziani: la Biblioteca Sansovina, che si trova al suo interno, ospita delle mostre temporanee. Da vedere la Sala del Maggior Consiglio, che per secoli fu la più grande sede di governo del mondo, il Ponte dei Sospiri, le carceri e i Piombi.
Di fronte al Palazzo Ducale sorge il campanile di San Marco: costruito nel 1173 come faro per i naviganti, fu restaurato da Bartolomeo Bon nel XV secolo. Crollò il 14 luglio 1902 e venne interamente ricostruito. La loggetta in marmo rosso di Verona è un’opera di Jacopo Sansovino, e su di essa si trovano i bassorilievi che raffigurano allegorie con le imprese della Repubblica del Leone.
Un altro simbolo della città è il Ponte di Rialto: opera di Antonio Da Ponte, sorse nel 1591. Costituiva l’unico modo di attraversare il Canal Grande a piedi: infatti, rimase l’unico ponte fino al 1854, quando fu costruito il Ponte dell’Accademia (a cui si aggiunsero in seguito il ponte degli Scalzi e il ponte della Costituzione). Sui lati del corpo centrale si trovano negozi di lusso mentre, alla fine del ponte, nel sestiere di San Polo, la pittoresca pescheria e la chiesa di San Giacomo di Rialto.
Altri importanti monumenti veneziani sono l’Arsenale, la basilica di Santa Maria della Salute, la basilica di Santa Maria gloriosa dei Frari, le sinagoghe del Ghetto.
Venezia è celebre anche per i suoi caffè storici. Importato dall’Impero Ottomano intorno al 1615, a partire dal 1683 si diffusero moltissime caffetterie in tutta la città. Il 29 dicembre 1720 fu aperto il celebre Caffè Florian, ancor oggi attivo in Piazza San Marco, sotto le Procuratie Nuove, nel 1775 fu la volta invece dell’altrettanto celebre Caffè Quadri.
Il centro storico di Venezia è ricco di palazzi signorili, che si affacciano sui calli e rii, antiche residenze delle più ricche famiglie veneziane dell’epoca d’oro della città. Tra i più famosi certamente Palazzo Corner, progettato nel XVI secolo da Jacopo Sansovino, Ca’ Rezzonico, nel sestiere di Dorsoduro e opera del Longhena, il Palazzo Zen, la Ca’ d’Oro a Cannaregio, il Palazzo Grimani e il Palazzo Loredan.
A parte le scuole e gli edifici istituzionali (es. Palazzo Ducale), quasi tutti i palazzi sono identificati con il nome della famiglia che li ha fondati o che più vi ha lasciato il proprio segno (es. Palazzo Dario, Palazzo Fortuny). Spesso nel nome vengono citate due o più famiglie (es. Palazzo Cavalli-Franchetti), oppure è specificato il ramo della famiglia (es. Palazzo Morosini del Pestrin).
Molte residenze private mantengono la tradizionale denominazione Ca’, che indicava insieme la casata e l’edificio (es. Ca’ Foscari); più recente l’uso dell’italiano Casa (es. Casa Venier). Alcuni edifici di non grandi dimensioni vengono spesso indicati come Palazzetto (es. Palazzetto Stern).
L’unica piazza a Venezia a denominarsi come tale, è piazza San Marco, tutte le altre prendono il nome di campi o campielli. Essendo, la città, nata con una struttura policentrica e divisa su di molte isole, intorno ai campi si svolgevano molti aspetti della vita sociale, commerciale e religiosa. Essi avevano, inoltre, l’importante compito di assicurare l’approvvigionamento idrico agli abitanti grazie alla presenza di un pozzo al loro centro.

Palaolimpico

Ad oggi struttura di riferimento nel mondo della musica e dello spettacolo, il Palaolimpico ambisce a imporsi sul piano internazionale come un luogo del divertimento di qualità a 360°, una vera e propria Entertainment Plaza che sia contemporaneamente galleria espositiva, centro commerciale, food & beverage area, e, ovviamente, sede di eventi esclusivi.

La musica migliore, ma non solo: il Palaolimpico si distingue anche per la sua funzionalità e flessibilità impiantistiche, unite alla bellezza di un’estetica all’avanguardia ideata da due archistar internazionali, Arata Isozaki e Pier Paolo Maggiora. Costruito in occasione dei XX Giochi olimpici invernali, l’impianto si caratterizza per l’estrema flessibilità di spazi (ha la capacità di ospitare eventi ridotti di 1000 persone fino a grandi produzioni internazionali, per un totale di 12.500 posti a sedere), per l’eccezionale acustica e soprattutto per un’estetica ad alto impatto, che lo ha reso agli occhi del mondo uno dei simboli della Torino del terzo millennio. L’avveniristico edificio si presenta infatti come un rigoroso parallelepipedo cartesiano, un grande volume sospeso da terra lungo 183, largo 100 e alto 18 metri (sviluppati su quattro livelli di cui due interrati fino a 7,5 metri sotto terra), interamente rivestito in acciaio inox che poggia su un basamento vetrato alto cinque metri.
Due caratteristiche, in particolare, mettono in relazione l’edificio con il contesto: dall’interno il visitatore, grazie alla trasparenza del perimetro del piano terra, è messo in diretto contatto visivo il con il grande parco esterno; dall’esterno, invece, il rivestimento lucido e riflettente delle facciate permette di dialogare con le architetture del contesto che, mescolate al verde del grande spazio aperto, si riproducono su di esso.
Dunque, la notevole capienza della struttura (fondamentale per ospitare eventi di richiamo mondiale), la sua collocazione geografica (vicino al centro città ma al contempo raggiungibile facilmente dalle principali uscite autostradali), la modularità per ospitare eventi di varia natura, e, soprattutto, la politica aziendale che pone al centro della propria mission la soddisfazione totale del pubblico, fanno del Palaolimpico il luogo ideale per cerca il divertimento a 5 stelle.