A breve distanza da Anghiari sorge il Castello di Sorci.
Ampio complesso inserito nel tipico ambiente agro-forestale umbro-toscano. L’impatto visivo non è quello del classico castello bensì di un grande casolare, le sale che lo compongono sono semplici e modeste e dislocate su più livelli e di diversa dimensione l’una dall’altra, alcune di queste hanno ingresso esterno ed indipendente, vivrete un clima casalingo e rustico. Suggestivo e cartteristico borghetto medioevale dove sarà possibile respirare l’aria dei tempi che furono.
Il Castello dei Sorci è stato abitato da due grandi e potenti famiglie tra il 1200 e il 1530: I TARLATI di Pietramala (1234-1388), I BALDACCIO (1388-1441) e I PICHI (1443-1650).
Il Castello dei Sorci, nato come segno di dominio, fu punto di contesa e di resistenza durante il Basso MedioEvo e il periodo delle Signorie; distrutto più volte e più volte ricostruito, visse la storia di un Capitano di Ventura, come il famoso Baldaccio, che forse aspirava a passarvi in pace i suoi ultimi anni di vita. Poi, mentre gli altri castelletti della valle declinavano, trovò con i Pichi una collocazione più pacifica, anche se pur sempre orgogliosa.
Con loro si definì quella che fu poi la sua fisionomia di azienda agricola, continuata anche da altri, con diversa fortuna, fino all’ultimo scorcio del XX secolo. Infatti nel 1970 subentrò Primetto Barelli dopo due anni di pratiche burocratiche, veniva dalle Marche e si era sposato a Città di Castello con una giovane del posto, Gabriella. Il Sig. Barelli voleva fare l’agricoltore, ma fece qualcosa di più: riaprì Sorci alla vita, con un’intuizione geniale e la vitalità espansiva del suo temperamento. Primetto ha raccolto l’eredità di azienda agricola, nel momento in cui l’agricoltura tradizionale perdeva alcuni connotati nella ricerca di nuovi tipi di imprenditorialità. Ma ha saputo dare a questa vocazione uno sbocco originale, riproponendo alle masse inquiete e deluse dei fast-food, il gusto dei prodotti naturali e dell’aria pulita.
Non è solo un espediente di mercato: è anche un fatto di cultura. Ma la cultura resta attiva se si alimenta col sentimento di un impegno.